Rofrano non esiste più

Ogni racconto nostalgico è, di per sé, un tassello mancante: ci aggrappiamo a memorie sbiadite per sentirci ancora parte di un luogo che, di fatto, non esiste più come un tempo. Eppure, di questi racconti ne abbiamo ascoltati fin troppi. Continuare a illuderci di poter prevedere un futuro migliore è vano, poiché la realtà dipende da una sola variabile: la capacità degli abitanti di adattarsi a un mondo che cambia inesorabilmente, più veloce di quanto i nostri legami, i nostri valori e persino il nostro stesso istinto di sopravvivenza riescano a sostenere.

L’essere umano, in termini evolutivi, non è progettato per affrontare cambiamenti così repentini. Di fronte a trasformazioni radicali e continue, la risposta è quella di sempre: ci spostiamo, emigriamo, cerchiamo rifugio altrove, sperando che un altrove esista davvero.

Non ci sono politiche che possano invertire questo trend di spopolamento, né tecnologie avveniristiche in grado di riaccendere la scintilla nei piccoli borghi come Rofrano. Il futuro che ci aspetta sembra sempre più distopico, scollegato dalla terra, dai valori autentici, dal contatto umano che una volta definiva le nostre comunità. Rofrano, come tanti altri piccoli comuni, è ormai un ricordo conservato nel cuore di chi ha il coraggio di tornare per la pensione o di ristrutturare una vecchia casa che altrimenti crollerebbe nell’abbandono. Tutto il resto è solo retorica vuota.

Il declino delle seconde case è emblematico di questa crisi: divengono fardelli sempre più insostenibili, sia per chi vive in Italia che per gli emigrati che, dall’estero, guardano con malinconia a un paese che non riconoscono più. Queste case saranno rifugi estivi finché rimarranno agibili, ma anche questo, alla fine, cesserà.

È tempo di abbandonare il romanticismo fine a sé stesso e abbracciare un approccio più pratico: portate i vostri figli a scoprire Rofrano, insegnate loro il valore della terra e della fatica dei loro antenati. Solo loro, le nuove generazioni, possono rappresentare una speranza per mantenere in vita le nostre radici. Mostrate loro la bellezza selvaggia che si scorge dalla cima della Raia del Pedale, un panorama che racchiude secoli di storia e sacrificio. Riempite piazza Cammarano, via Roma, corso Prof. Tosone — non i social network.

Durante le ultime elezioni, si è discusso ampiamente di spopolamento e possibili soluzioni, ma spesso chi porta avanti queste discussioni è proprio chi ha abbandonato questi luoghi anni fa. È paradossale, se non ipocrita, che chi ha voltato le spalle al proprio paese ora si arroghi il diritto di pontificare sul suo futuro da dietro uno schermo o attraverso una conference call su Zoom. Questo è il vero volto della distopia: un mondo in cui chi è fuggito crede di poter rimediare con parole vuote ciò che si è perso con l’abbandono.

Non c’è bisogno di cercare chiavi di lettura complesse o di interpretare queste parole come un “messaggio cifrato”. Quello che serve è concretezza, progetti reali e tangibili. Non disperdete energie su social network o proclami vuoti, ma impegnatevi in qualcosa di pragmatico: fatelo per la comunità, fatelo per voi stessi.

Il vero valore risiede in chi è rimasto o in chi, pur lavorando a mille chilometri di distanza, si ostina a tornare per occuparsi della propria terra, della propria casa, partecipando attivamente alla vita comunitaria. Questa è la resistenza silenziosa, l’impegno che davvero conta.

Il romanticismo sterile, quello che si nutre di foto patinate e di frasi ad effetto sui social, non ci porterà da nessuna parte: è solo il gioco elitario di chi si sente patrizio tra una plebe che non comprende. Serve un impegno concreto, una determinazione pratica, il coraggio di non abbandonare le proprie radici e di coltivarle, nel senso più letterale del termine.

Quanto alle tante analisi e ai grafici che circolano in questi giorni, lasciamo che gli esperti continuino a discutere e speculare: a noi non interessano. Non perché siano inutili, ma perché la realtà di questi luoghi non può essere catturata in un diagramma. Quello che conta davvero non si trova nei dati, ma nell’impegno quotidiano, nella fatica e nel sudore di chi, contro ogni previsione, ha scelto di restare.

One Response

  1. E’ un triste resoconto, purtroppo vero.
    Dobbiamo cercare di tenere alta l’attenzione, sulle possibilità che potremmo avere, per dare il giusto riconoscimento, ed importanza alle risorse che abbiamo, per renderle oggetto di sviluppo e d’investimento, per contrastare lo spopolameto.
    Allo stesso tempo, cercare di migliorare la viabilità, per aumentare le visite ed i servizi per gli stessi.

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