Nicola Lettieri (U Falignama ri Pagnuottu)

di Giuseppe Viterale – kiddu ri mulinaru

Il caro amico Salvatore Lettieri finalmente si è’ deciso a raccontare la storia del padre Nicola .
Il tutto e’ inserito in un contesto storico tra il dopoguerra ed oggi.
Davvero molto interessante ed istruttiva.
L’articolo e’ stato scritto dal figlio Prof. Salvatore Lettieri.
Buona lettura.
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NICOLA LETTIERI ( U Falignama ri Pagnuottu).
Carissimi amici di Tele Rofrano, oggi intendo parlarvi di un artigiano che ha svolto la sua attività in Rofrano in un arco di tempo che va dagli anni 1950 – 1960.
Si tratta di Nicola Lettieri detto “Pagnuotto” il falegname per antonomasia di Rofrano.
Ebbene, parlare di questo artigiano significa andare indietro nel tempo di circa sessanta ed accendere i riflettori sul tenore di vita dei rofranesi nel nostro bel paesello proprio nel decennio 50-60 del novecento.
Diciamo subito che, agli albori del 1950, Rofrano era in uno stato di arretratezza, a dir poco, spaventoso: molte case non avevano l’elettricità, l’acqua corrente, i servizi igienici. Quando si faceva buio le persone uscivano di casa solo per necessità facendosi luce con dei “ tizzoni”; l’acqua si andava a prenderla alle pubbliche fontane con le “giarle”; i servizi igienici erano le così dette “strettine” a cielo aperto, con grande pregiudizio per la salute pubblica. C’era una diffusa promiscuità tra persone ed animali (molti avevano in casa i così detti “conigli “suricigni”) ed i componenti le numerose famiglie dormivano in anguste stanze e su letti con materassi riempiti con gli inizi degli anni 50 con le foglie che avvolgevano la pannocchia matura delle spighe del granturco.
La guerra era finita da pochi anni ed aveva aggravato la traballante situazione socio economica di molte famiglie. Alcuni uomini, padri di famiglia o giovani, erano morti in guerra o avevano riportato gravi mutilazioni. Nel decennio 1950-60 Rofrano viveva di una economia di sussistenza fatta di agricoltura, di pastorizia, di baratto e di piccolo artigianato. Chi possedeva un podere di proprietà vi si dedicava con fatiche immani, in quanto disponeva di pochi ed arretrati attrezzi agricoli: si arava il terreno e si trebbiava il grano con i buoi tanto per citare i lavori più frequenti.
Quasi tutte le famiglie allevavano un maiale che, una volta ammazzato e sezionato, veniva conservato sotto sale in appositi “ tini”. Questo consentiva di superare i rigidi inverni. Chi conosceva un mestiere aveva una piccola bottega con una nutrita schiera di apprendisti. A Rofrano, in questo periodo, vi erano tre sartorie: quella di Attilio Pellegrino e Miche Aliprandi, quella dei fratelli Monaco Rodolfo e Nicolino, e quella di Giovannino Coviello; tre calzolai: Vincenzo Caiafa, Raffaele di Carolina e Carminuccio “ ri Zichiti “ divenuto poi addetto alle pompe funebri; tre falegnami: Nicola di Pagnuotto che aveva il negozio all’uscita del paese verso Sanza prima della casa dei Tosone, Pasquale “ ri commitu” e zi Francesco di Sevo, il padre dell’avvocato di Sevo. Vi erano, poi dei muratori: Cataldo alle coste e masto Peppo “ ri pecoraro” che facevano lavori edili utilizzando la calce come legante della malta per cui l’indurimento del calcestruzzo avveniva con estrema lentezza.
In questo contesto si inserisce la figura del falegname di Nicola “ri pagnuotto”, nato il 10.11.1920 da Salvatore e da Guerrieri Carmenla che provenivano dalla zona di Rofrano detta” Vendigrano” ma che abitavano “ mpieri o paese”.
Il giovane Nicola, secondo genito di dodici figli, poco amante della campagna, negli anni trenta fin dalla tenera età, fu avviato a bottega dal falegname mastro Francesco, dove apprese i rudimenti dell’ebanisteria tra mille difficoltà. Spesso “O masto”, dovendo integrare le magre entrate della falegnameria, conduceva nei campi anche i discepoli, con grande disappunto di Nicola che se ne lamentava con la madre Carmela, la quale non prendeva affatto le difese del figlio ma lo esortava ad avere pazienza ed a far tesoro degli ammaestramenti di mastro Francesco..
Passano gli anni e si arriva al fatidico 10 giugno 1940 quando Mussolini, dal balcone di piazza Venezia di Roma, annuncia alla folla delirante l’entrata in guerra dell’Italia. Le ripercussioni di tale sciagurata decisione sulle famiglie rofranesi fu catastrofica: quasi tutti gli uomini furono chiamati alle armi ed inviati sui vari fronti di guerra.
A Nicola tocca raggiungere l’11 giugno 1940 la frontiera alpina Occidentale con il 32° Reggimento fanteria e, successivamente, il 28. 10. 1940 imbarcarsi a Bari diretto a Durazzo in Albania per partecipare alle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera Greco Albanese.
Una volta conquistata l’Albania le mire espansionistiche di Mussolini si concentrarono sulla Grecia per cui Nicola seguì ancora una volta il 32° reggimento fanteria e fu imbarcato a Durazzo il 28 Ottobre1942 per essere trasportato a Candia (isola di Creta) in zona di guerra.
Ma le sorti della guerra per l’Italia furono disastrose.
Il 25 luglio 1943 con l’ordine del giorno Grandi viene destituito ed arrestato Mussolini e l’8 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio con gli alleati. La reazione dei tedeschi, che si videro traditi, fu tremenda. Infatti molti soldati italiani furono fatti prigionieri. Tra questi ci fu anche Nicola che dall’isola di Creta fu tradotto nei campi di concentramento tedeschi.
Qui la vita era dura e per sopravvivere Nicola assieme a tanti altri Italiani si ciba anche di bucce di patate. Passano lunghi e terribili 18 mesi di detenzione e finalmente il l’8 maggio del 1945 le forze alleate liberano tutti i prigionieri e Nicola finalmente può tornare a casa il 6 novembre del 1945.
Ha compiuto 25 anni. Si guarda intorno: fame, miseria. Il padre Salvatore invalido di guerra senza un braccio, il fratello Pasquale non è rientrato dal fronte russo e risulta disperso. Mamma Carmela, affranta dal dolore per il mancato rientro del figlio, trova la forza di reagire e spinge tutti i figli grandi e piccoli a darsi da fare e li conduce spesso in località “piedi orti” a seminare ortaggi, patate, fagioli e quanto altro possa contribuire a sfamarsi. Si tira avanti anche con la piccola pensione di invalido di guerra di papà Salvatore.
Ma Nicola non ama la campagna e comincia a mettere a frutto il mestiere che aveva appreso da Masto Francesco: ripara porte e finestre, mette qualche “ziccola” alle porte dei numerosi “stieri” dove molti contadini ricoverano gli animali e riesce a rimediare qualche pezzo di formaggio, o qualche pagnotta di pane” giallo” fatto con il granturco. Passa l’anno 1946 e con il nuovo anno 1947 Nicola comincia a pensare, nonostante la miseria, di sposarsi.
Cosa che fa nel mese di aprile del 1947 portando all’altare una contadinotta dell’Abbenante”, tale Guerrieri Antonietta, figlia di Antonio Guerrieri detto “ ri ndocco” e di Maria Pellegrino, di 10 anni più giovane di lui e vanno ad abitare in località “Macchia”.
La casa della “Macchia” è abbastanza centrale. Ci si arriva percorrendo una lunga scalinata dalla piazza dove attualmente c’è l’ufficio postale verso il fiume Faraone; è una casa modesta ma, come si dice “parva sed apta mihi” piccola ma rispondente alle mie esigenze. In un primo momento Nicola ed Antonietta, freschi sposi, pensano di aprire un esercizio commerciale. Infatti chiedono ed ottengono dal sindaco avv. Giovanni Sofia una licenza di vendita di generi alimentari e diversi, filati, ferramenta e utensili di rame ed alluminio, con magazzino in via A. Logarzo n.24.
Ma Nicola sa fare il falegname e non il commerciante per cui l’attività naufraga.
Allora Nicola pensa di aprire una propria bottega di falegname. Si rivolge a Giovanni Donnantuoni “quello ri mastrupietro” che gli mette a disposizione un locale di sua proprietà all’uscita del paese verso Sanza poco prima della casa dei Tosone.
Inizia così l’avventura di Nicola “ri Pagnuotto” falegname a Rofrano. Correva l’anno 1948.
Intanto a Rofrano anche molti altri si sono rimboccati le maniche ed il paese comincia a pullulare di attività. Di mattina si odono ben chiari i colpi dei calzolai che battono le suole, lo scalpitio delle greggi che scampanellando si avviano verso i pascoli del “Salice” o del “ Polarrito”, il canticchiare dei vari sarti e il rumore della sega, del saracco, della menarola e della pialla di Nicola che lavora indefessamente per cercare portare avanti la famiglia che nel frattempo si è allargata con la nascita di Salvatore nel 1948 e di “Totonno” nel 1950 (Fausta nascera’ nel 1959).
Passano gli anni e Nicola ingrandisce la propria bottega con una serie di macchinari per l’epoca abbastanza avanzati: acquista una pialla elettrica multifunzione, una grossa sega a nastro un camioncino per il trasporto dei manufatti e si circonda di discepoli che lo aiutano nel lavoro: tra essi spiccano Vincenzo “della scariota”, Peppo di Pepe, Salvatore figlio della guardia municipale Carluccio e Peppo della “renazza” soprannominato O’ Re.
L’attività di falegname decolla e Nicola riceve commesse anche dai paesi vicini: Laurito, Alfano, Sicilì, Santa Marina, Torre Orsaia, Policastro, Abatemarco, Montano ecc. Costruisce porte, finestre, cassapanche, mobili per arredare stanze da letto e stanze da pranzo. Nicola finisce con il diventare il falegname a cui si rivolgono i professionisti del tempo: medici, farmacisti, avvocati, professori ecc, gli unici che dispongono di liquidità e che possono arredare le loro case con dei mobili di un certo pregio. Nicola offriva loro una vasta gamma di prodotti che essi potevano scegliere da appositi cataloghi in cui erano illustrati i mobili. Il lavoro non mancava ed il denaro cominciava a circolare.
Diciamo che le cose andavano abbastanza bene, ma il lavoro era duro ed i macchinari acquistati servivano per i lavori grossi, poi c’era da fare un durissimo lavoro a mano: bisognava inchiodare, avvitare, incollare e la colla sintetica, di cui oggi si fa molto uso, non ancora esisteva per cui si utilizzava la colla animale, quella di pesce in particolare. Questa colla era venduta in quadrati rettangolari 10X20 che si doveva spezzettare e sciogliere in pentole di rame. Ma la cosa più fastidiosa era la lucidatura dei mobili che prevedeva una perfetta levigatura iniziale e poi una lucidatura con polvere di pomice (la così detta “pomiciatura”) che aveva lo scopo di otturare i pori del legno rendendo la superficie più liscia ed omogenea. Dopo la pomiciatura si procedeva con la lucidatura vera e propria e si terminava con la brillantatura che veniva praticata con un tampone avvolto in uno strato di stoffa intinto in una soluzione di gommalacca e trementina. Una volta chiuso il tampone si iniziava a lucidare la superficie del legno con movimenti circolari. Operazioni queste molto faticose ed impattanti tanto che le mani di Nicola e dei suoi discepoli erano impregnate di gommalacca che andava via solo dopo molti giorni.
Fare il falegname in quel periodo era faticoso e stressante, però Nicola si era fatto un nome nel circondario e per tenere fede agli impegni lavorava notte e giorno producendo un lavoro assordante con i suoi macchinari per cui non mancavano le proteste di coloro che, non volendo sentire rumori fuori orario, ricorrevano a Carluccio la guardia municipale che a volte elevava anche qualche contravvenzione.
Ma Nicola, come si è detto, aveva anche acquistato un camioncino, fiat 508 Balilla, che recava sulle fiancate laterali una bella iscrizione:” Falegnameria Lettieri Rofrano (Salerno)” che per quel tempo fu una cosa molto innovativa in considerazione del fatto che l’unico mezzo di trasporto del periodo era l’asino o il mulo. Ma Nicola, come la maggior parte dei rofranesi, non aveva la patente di guida ed allora fece ricorso all’unico patentato di Rofrano: Gino Pandolfo, il padre di Tonino l’elettricista. Fu lui, caro amico di Nicola, a dargli lezioni di guida ed a guidare il camioncino per i primi tempi fino a che anche lui non prese la patente.
Ebbene su questo camioncino, unico mezzo di trasporto meccanico di medie dimenzioni a quel tempo, occorre spendere qualche parola in più perché, oltre che una novità, si dimostrò anche un sollievo per tanti contadini per i motivi che adesso spiegherò.
A quel tempo, anni 1950-1960 i contadini si recavano in campagna sul levar del sole in groppa al loro asinello con il tascapane a tracolla contenete pane e formaggio ed una borraccia d’acqua. Chi andava a San Menale, chi al Salice, chi a Ventrici chi al Fornillo ecc. per lavorare la terra di loro proprietà o comunale che avevano preso in fitto. A sera, dopo una giornata di duro lavoro c’era il gran rientro in paese di tutti i contadini, ma l’asinello era carico di legna da ardere per riscaldare le case e per cucinare.
Molti, in questi anni, erano soliti seminare il grano nei loro campi per poter fare la farina per il pane. Le zone più adatte alla produzione del grano erano le zone di “Ventrici e il Salice”. Ma una volta trebbiato il grano (in questo periodo cominciarono a comparire le prime trebbiatrici che sostituirono i buoi nell’operazione di pulitura del grano dalla pula) occorreva portare in groppa all’asinello i pesanti sacchi di grano a due la volta. Vi renderete conto che andare avanti ed indietro per molte volte al giorno era una fatica di non poco conto. Ebbene il camioncino di Nicola in questo periodo svolse un ruolo molto importante in quanto, specialmente sul versante di Ventrici, nel periodo della trebbiatura, consentiva di velocizzare il trasporto dei sacchi di grano nei granai in un tempo rapidissimo in quanto riusciva a trasportare svariati quintali di grano in un solo viaggio. Ma siccome Nicola era occupato con i lavori di falegnameria svolgeva questo compito proprio Gino Pandolfo.
Sul finire degli anni 50 Nicola, il falegname per antonomasia di Rofrano ed in tutto il circondario, era all’apice della sua attività. Si avvicinavano gli anni 60 -70, quelli del boom economico e della industrializzazione. Cominciavano ad essere prodotti e commercializzati i mobili fatti in serie; si erano aperte le emigrazioni verso i paesi europei: Francia, Germania,ecc. nonchè verso le città industriali del nord: Milano, Torino e Nicola si trovò ad un bivio:
Fare un salto di qualità introducendo nella sua attività macchinari ancora più moderni ed ampliando i locali per far posto a sistemi di lavorazione veloci e seriali che riducessero la pesantezza del lavoro manuale, oppure chiudere l’attività ed emigrare anche lui con la garanzia di uno stipendio sicuro e di una vita più tranquilla e far crescere la sua famiglia dando ai figli la possibilità di studiare e fare un salto di qualità nella scala sociale?
Una decisione importantissima da prendere. Nicola era stanco: per un decennio aveva lavorato senza tregua ogni giorno a volte anche di domenica. Si guardò intorno, non aveva più i suoi discepoli che erano andati chi a Milano chi a Torino dove erano meglio pagati e dove a loro volta avevano creato le loro famiglie, non aveva i capitali necessari per fare il salto di qualità, si senti solo e non in grado di affrontare il futuro, per cui decise di emigrare in Germania, dove era molto richiesto come falegname.
Fu così che chiuse la propria attività, nell’anno 1961, ed intraprese la strada dell’emigrazione che gli consenti di avere una certa stabilità economica con delle entrate sicure, tanto da consentire ai propri figli di seguire un corso di stuti regolari, di lauresi e di intraprendere delle professioni. Ma Nicola, come tanti altri Rofranesi emigrati, portò sempre nel cuore la nostalgia del suo paesello e dei suoi affetti familiari. Durante i lunghi anni trascorsi lontano sognava sempre di ritornarsene a Rofrano e trascorrere lì la sua vecchiaia, passeggiando lungo la via Roma o la via Pastena e giocando a tre sette con gli amici al bar Viterale.
Durante i lunghi anni di lontananza dal suo paese natale sognava sempre di farsi una casetta dove trascorrere gli ultimi anni della sua vita. L’occasione si presentò con il suo collocamento a riposo per raggiungimento del limite di età nell’anno 1985. Fu in quell’anno che si ritirò a vivere a Rofrano nella casa che rea riuscito a costruirsi in via Zamilla, dopo aver vagato tra la Germania, Milano e Napoli per 35 anni. Ma una volta a Rofrano non incrociò le braccia e nei locali terranei della casa che si era costruito, riprese la sua attività di falegname facendo piccoli lavori e giocando a carte con gli amici, come aveva sempre sognato, nei vari bar che nel frattempo erano nati a Rofrano.
Nicola si è spento l’ 11.11.2002 ed è sepolto nel cimitero di Rofrano
Prof. Salvatore Lettieri

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