23.06.1811 Rofrano † 20.09.1879
CENNI STORICI SUL
COMUNE DI ROFRANO
Stabilimento Tipografico Nazionale
Salerno 1873
ALLA
SUA CARA PATRIA
QUESTO TENUE LAVORO
CHE DELLA PATRIA
SVOLGE L’ORIGINE
E NARRA LE PROSPERE ED AVVERSE VICENDE
PERCHE’ LA MEMORIA DI GLORIE E DI SVENTURE
ED I MOMUMENTI DELL’ETA’ PASSATA
SIANO SPRONE ALLA VIRTU’
FRENO AL VIZIO E BASE AL PROGRESSO
DOMENICANTONIO RONSINI
SPINTO SOL DA CARITA’ DEL LOCO NATIO
OFFRE
RICONOSCENTE ED OSSEQUIO
In una lite demaniale, che verte da secoli, e ferve ancora tra Rofrano ed i Comuni limitrofi al suo mezzogiorno, il consiglio Municipale Rofranesi mi addossò l’incarico di studiar le Produzioni , ed illustrar la controversia. Per riavviare il bandolo dell’avviluppata matassa, fui costretto a spolverare voluminosi Processi, e frugar nei pubblici e privati archivii, per trovare all’uopo altri titoli, e scritture vetuste. Frutto di tali indagini son le copiose notizie, che pubblico in questa memoria a sol fine, che non ricadano nell’obblio, e posson somministrare le prima fila, con cui qualche altro più valoro, ch’io non posso, possa essere l’istoria patria.
I.
Corografia e Topografia
Rofrano è Comune di 3^ classe del Circondario di Vallo della Lucania, del Mandamento di Laurito. Dipende dal Tribunale Civile e Correzionale di Vallo, dalla corte di Assise di Salerno e dalla Gran Corte di Napoli. E’ tra gradi 33°, 7’ 12’’ di longitudine Est dal Meridiano dell’Isola di Ferro, e di latitudine Nord 40° 12’ 13’’.
Confina a Sud con Rocca Gloriosa , da cui dista otto miglia, e con Torre Orsaia, e ne dista sei miglia; ad Est con Caselle in Pittari, da cui dista otto miglia, e con Sanza, e ne dista dodici miglia ed a Sud-Ovest con Laurito ed Alfano, distando miglia quattro dal primo, e due dal secondo. Dista dal Golfo di Policastro, e Porto di Scario dieci miglia, si eleva sul livello del mare metri 450.
Si addossa ad un colle isolato di roccia stratificata al confluente del Faraone , che lo bagna a ponente, e del Carcillo, che lo bagna a mazzoggiorno: le abitazioni occupano tutte le pendici meno la settentrionale: sul colle siede cavaliere, e gli sovrasta eminente la chiesa, per ricordare che Dio dev’essere il centro, e l’apice de’ nostri pensieri: ha staripevole balza al Nord, ed all’Ovest, men difficile accesso al sud, facile all’est, dove gli si annette un borgo, che allargarsi nel piano, ed or ne forma la parte principale.
Situato in mezzo a due diramazioni opposte di monti che al Sud si arrestano a breve distanza e lasciano un vano a traverso del quale si scorge il golfo di Policastro, ha un Orrizonte angusto, e limitato dalle cime de’ monti, ma la sterilità, e la monotonia vi sono stranieri . Prospetta monti di svariate altezze, figure tinte, e vegetazione , prospetta colline, convalli, selve, campi, oliveti, vigne, case rurali numerose, fiumi, ruscelli, burroni, ed al Sud Alfano, Rocchetta, Roccagloriosa, il mare. Chi voglia sostenere la fatica di salire sul Centaurino, o sul Gelbison, spazierà la vista in un panorama immenso, ed incantevole. Perciò gli Ufficiali Topografici han prescelto questi monti per le loro Geodetiche operazioni, erigendo sull’uno , e sull’altro piramidi di pietra, ad uso di punti Trigonometrici.
II.
Origine
La desinenza del nome Rofrano accenna ad una derivazione da altro luogo; ed il riscontro io trovo nell’antica nell’antica Rufra, o Rofrio ricordata da’ Latini scrittori.
Virgilio nel VII° dell’ Incide ci fa assapere, che Ebalo figlio della Ninfa Sebetide, e di Telone Re di Capri, non contento del paterno retaggio, aggiungeva a suoi domini Rufra ed altre conquiste.
Late jam ditione premebat
Sarrasteis populus, et quae rigat aequora Sarnus,
Quique Rufras, Batulumque tenet atque avra Celemmae,
Et quos maliferae despectant moenia Abellae
Teutonico ritu soliti torquerre cateias,
Termina queis capitum raptus de subere cortex,
Aeralaeque micant peltae, micat aereus ensis.
Rufras, non Rufas leggo nell’Edizione del Bonelli col Comento di Servio, Venezia 1574 : e così lesse e tradusse Annibal Car delle genti,
Che Sarno irriga insignorissi apresso Di Batullo, e di Rufra, e di Celenne,
E de’ campi fruttiferi di Avella
Mezze picche avean queste alla Tedesca
Suveri scortecciati , e di metallo
Bricchieri alla sinistra, e stocchi a lato.
La stessa Rufra è ricordata da Silio Italico L.VIII v. 564, dove facendo la rassegna de guerrieri interventui alla battaglia di Canne, dopo i Campani, specifica i Sanniti, a’ quali seguono i Bruzii, i Lucani e gli Irpini.
Adfuit et Samnis, nondum vergente favore
Ad Poenos , sed nec veteri purgatus ab ira,
Qui Batulum , Mucrasque colunt, Boviana quique
Exercent lustra , aut Caudinis faucibus haerent,
Et quo saut Rufrae, aut quos Esernia, quosque
Obscura incultis Herdonia misit ab agris.
Venne il Sannità anch’esso , non ancora
Chiaritosi in favor degli Africani,
Ma neppur terso il cor dall’ira antica,
L’abitor di Batulo, e di Mucra,
Ed i cultor de’ boschi di Bojano,
E quei che alle Caudine fauci annidano,
E quei che Rufra, o Isernia, o che spedio
Dalle campagne incolte Erdonia oscura.
La ricorda Livio, Dec. 1.^ L. 8. Edodem tempore ( 429 della città ) etiam in Samnio res prospere gestae: tria oppidia in potestam venerunt, Allifae, Callifae, Rufriumque, Ager primo adventu consulis ( Lucio Cornelio ) longe lateque devastatus.
Il Nardi lesse non Ruffium, ma Rufirum, è così tradusse——
(( Nel medesimo tempo anche nel Sannio successero le cose prosperamente: e tre città vennero in potere de’ Romani, Alife, Calife, e Rofrio, e l’altro contado nella prima giunta del Console fu per tutto saccheggiato, guasto.))
Anche qui Rufrio è situato nel Sannio, e tra citta di qualche considerazione, cui per sicurezza di Roma L. Cornelio stimò occupare, venendo appaiata ad Alife città al Sud-Ovest di Boviano decorata di Teatro, Circo, Anfiteatro, Aquilotto, Terme, mura.
Ne parla Catone il vecchio ancora De Re Rustica c. 134 intilotato —- Ubi utensilia emantur. Edizione di Benedetto Ettore, Bologna 1504 Trapeti Pompeiis. Nolae ad Rufrium Ateriam Claves, clostra Romae, ac Hamae. Urinae oleariae urcei aquarii, vinariae, urnae, et alia vasa aenea Capuae. Nolae fiscinae Campanile caniae utiles sunt. Gli infratoi di olive si comprimono a Pompei. I Campanelli nelle vicinanze di Rufra Ateria. Le chiavi, e le serrature a Roma, ed a Hama. I vasi d’olio da becco sottile, gli orciuoli da acqua , l’urne vinarie, gli altri vasi di metallo a Capua. Di Nola son da usarsi le fiscelle urticee della Campania.
Infine due lapidi rinvenute sur un braccio della via Latina, presso l’Osteria di Tora, parlano espressamente di coloni Rufrani, e Vicani Rufrani.
Dalla descritta Rufra, o Rofrio opino ab. Traili, che abbia a ripetersi l’etimologia di Rofrano, e l’origine di Rofrano vetere.
Egli è vero che questo Comune è nella Lucania, mentre non solo Livio, e Silio apertamente, ma ancora gli altri scrittori citati, se vadano bene intesi, metton Rufra nel Sannio. Ma non è a dubitarsi, che la Lucania ripete l’origine da una di quelle grandi Colonie, che il Sannio per cresciuta ed esuberante popolazioneera solito sbandire, ed obbligare a prendere stanza, ove meglio lor convenisse. Lo attestano gli storici chiaramente, Secondo Stradone L.V. Antiquissima Sabinorum gens est, et indigena. Ab his porro Lucani a Samnitibus genus trahunt….. generis ( dei Lucani ) auctores ipsi Samnites.
La conferma di Plinio. L. III. C. 5. Lucani a Samnitibus orti duce Lucio. Ed il traduttore di C. Sempronio in Descrip. Orbis (( da velia al Silaro fiume abitato da Lucani così nominati da Lucio principe de’ Sanniti. )) Da’ quali testi si rileva, che la Lucania non solo ebbe l’origine da’ Sanniti, ma ancora il nome dal loro Induperatore Lucio. Perché prima si chiamava Enotria , —- ora seu regio Tarentum intere t Poestum protensa, —– forse anche Ausonia, Italia, e da Greci Esperia, prendendo questi nomi nel primitivo loro stretto senso, che poi fu ampliato a tutta penisola dall’arbitrio de’ conquistatori.
Non dissimulo, che Servio, chiama Rufra oppidum Campanile, e dietro lui i Commentatori di Virgilio, gl’Istorici più celebri della Campania, ed i Geografi metton Rufra nella Campania, e circoscrivono le conquiste di ebalo alla parte Orientale della Campania verso il promontorio di Minerva, a’ Picentini, ed agl’Irpini. Per uscir da questo imbarazzo possono farsi due ipotesi, ammettendo o due Rufre, una nel Sannio, ed un’altra nella Campania, o una sola, ma che appartenne, in un tempo alla Campania, ed un altro al Sannio.
La prima ipotesi è adottata dall’Ab. Antonio Racioppi ( regno delle due sicilie descritto, ed illustrato) . Egli mette la prima nel Sannio de’ Pentri, e propriamente, seguendo il Trutta ( Antichità Allifane), presso la terra di S.A ngelo Raviscanino cinque miglia al Nord di All’ife, dove si trovano, infatti rimarchevoli avanzi di Antichità. Ragiona dell’altra nel mondo seguente. (( Sull’autorità di Virgilio , e di Servio , che dice castelli della Campania questi due villaggi, Nicola Corcia ( Storia delle due Sicilie ) crede che Rufra nell’odierno Casale di Cisterna , Batulo nella contrada detta Molara du Brusciano a poca distanza della stessa Cisterna: v’ha nel sito di quella una cava di pietre molari, e ciò giustifica quel che dice Catone , ch’è del 1504, non trovò ne le pretese macine di molino, né il preteso Agro di Nola, né Batulo. Nolae ad Rufrim Ateriam vuol dire, che i campanelli si compravano presso Rufra Ateria. Se si prende Nolae per la città, le parole non hanno alcun senso, o direbbero, che Nola è vendibile presso Rufra. Veggo bene, che il Corcia abbia letto Molae ( trusatiles, ‘et Asinariae ) cioè macine, ne ricuserei tal variante de’ Critici ; ma in tal caso dal testo di Catone non si rileva l’aggiunto, ch’è base a tutto l’argomento, cioè, che avevasi dall’Agro Nolano. Indi il Racioppi aggiunse (( A dir vero due lapidi rinvenute presso l’osteria di Tora sulla via Latina nelle quali sono espressamente nominali i Coloni Rufrani, ed i Vicani Rufrani, darebbero qualche peso all’opinione contraria, che la crede in Presenzano, se il luogo di Virgilio, in cui Rufra è posta tra le pianure irrigate dal Sarno, ed Avella non togliesse ogni ombra di dubbio)). A me, debbo confessarlo resta tutto il dubbio, e mi fa più peso il luogo dove furon trovate le lapidi, che il luogo che vuol dedursi sol dall’ordine delle parole di Virgilio. Se vale l’argomento dedotto dall’ordine , con cui Virgilio nomina i luoghi, potrà con altrettanto dritto conchiudersi, che i Bruzii son tra i Sanniti, ed i Lucani; perché Silio Italico così li dispone nella citata rassegna. Questo sarebbe un granchio preso a secco. Non parmi valevole a basar Geografiche, ed Istoriche verità una favole poetica realitva a tempi, in cui i Re eran dominatori di un solo paese, le Regine eran Ninfe del Sebeto, e le cortecce di suvero scusavano le celate, ed i cappelli. Ben altro valore ha la prova sommnistrata dal luogo, ove furon trovate l’Epigrafi, anche perché l’Osteria di Tora poco dista da All’ife, dove Livio, mette il teatro delle prodezze, di L. Cornelio, e questo braccio della vita Latina riusciva a Rufra, come avvisa lo stesso Racioppi: val dire, che si accordano la Storia, ed i monumenti a favor di Presenzano, o piuttosto di San Angelo Raviscanino del Trutta.
Adunque non parmì plausibile la prima ipotesi, ed inclino alla seconda . Parmi che dagli autori si acceni ad una sola Rufra col divario , che in verso è detta Rufra o Rufa, ed in prosa Rufro o Raffio, parmi pure che in epoca potè appartenere al Sannio, ed in un altra alla Campania.
E’ innegabile che gli Istorici nel riflettere i limiti del Sannio, ed i Geografi nel descriverli discordano tra loro, e spesso con se stessi. La ragione è nelle vicende del Sannio. Popoli bellicosi, com’erano i Sanniti, or acquistavano, or perdevano in estensione territoriale, secondo la volubile fortuna delle armi.
Quindi han variato gli Storici, perché han variato le vicende, ed i confini del paese. Ma nel colmo di sua potenza il Sannio, come dice Cantù, superva Roma per popolazione e territorio, allargandosi dal mare Inferiore al Superiore, dal Liri alle Montagne Lucanecnei paesi, che ora diciamo Principato Ulteriore, Abruzzo Citeriore e Terra di Lavoro. Vi fù un tempo, che invasero la Volturnia, cui applicarono il nome di Campania, cioè pianura e presero il nome di Sanniti Campani, e Mamertini o soldati di Marte. Che più? Nola stessa, presso cui si mette la Rufra Campana, fu prima collegata co’ Sanniti, quando insieme presidiarono Palepoli e Napoli, e poi a’ Sanniti sottoposta, e secondo Capaccio L. II, pag 462 Nolam im Samnio costituit Epitome Livii. I popoli Sarrasti e le rive del Sarno un di conquistate da Ebalo , furon poi soggette a’ Sanniti, che sulla diritta si mantennero a Pompeja sino all’anno 308 avanti l’era volgare, e sulla sinistra nell’anno di Roma 444 possedevano l’Agro Nucerino . Adunque dato pure che Rufra in qualche tempo appartenne alla Campania, potè in altr’epoca essere in potere de’ Sanniti.
Veramente non si sa con precisione il tempo in cui la Lucania o Lucana colonia fu dedotta. Sembra, naturale che i Sanniti occupassero prima il Volturno e Capua, lo che avvenne nell’anno 331, e poi si slargassero nella vostra regione. Ma tre anni prima, cioè nel 328 di Roma si erano avanzati sino al fiume Lao, quando già si eran resi padroni di Posidonia.
Neppure si sa con precisione da quale delle otto regioni del Sannio fu distaccata. Il Corcia, crede che la colonia, la quale formò di gran popolo de’ Lucani, si distaccò, nel paese de’ Pentri, ove trovansi la Liviana Rufra, si distacco dal paese , ed Allife: poggia la sua opinione sull’Omonima che vede tra il fiume Calore del Sannio Pentro, ed il Calore della Lucania, ripetuto nella Valle di Diano, e di S. Angelo Fasanello.
L’opinione dell’Illustre Scrittore è avvalorata da altri omonimi. Il monte Rotondo controforte del Matese nel Sannio Pentro è replicato nel Monte Rotondo sito sopra Rofrano Vetere.Sepino centro del Sannio Pentro fu fondata nel sito detto Altilia ed esso medesimo chiamato Altilia. Giacchè non si veggono che in Altilia le torri, e le fortificazione, che diedero tanto da fare a Papiro Cursore Achille de’ Romani. Tale opinione è confermata dal freccia. L. II. Che dice: legitur apud aliquos exeplum vetustae inscriptionis, quae est in janua Sepini, antiqua urbe Samnitum, dicta Altilia a nonnulis, corrosum et diminutm ( anche il Romanelli dice ( p.II. p: 448 ): altre iscrizioni trovate nel sito Altilia, e riportate dal Galanti non ci lasciano dubitare che questo sia stato il sito dell’antica città. Ora quattro miglia lungi da noi sorge tra Laurito, e Montano una ben altra montagna chiamata Antilia, ove alcune abitazioni furono un tempo: ora di esse appena picciolissime vestigia si vedono: la ricorda Bernardino Rota in que’ versi.
Teque etiam, Antilie, passis te maesta capillis,
Quam Pan erudiit susceptam Molpide Nympha
L’Alife del Pentro è accennata in Alfano, quasi Alifano, paese che dista da noi due miglia. Nella tavola Peutingeriana è segnata la stazione di Pirum nel Sannio Pentro forse presso campolieto: ed a 10 miglia da Rofrano è San Giovanni a Piro. Tante omonimie non possono attribuirsi a casualità, se altri pria no adotti il sistema atomistico. Esse dimostrarono almeno la persuasione dei nostri antenati di essere oriundi del Sannio Pentro. In qualunque supposizione non perde forza un mio dilemma. Se i Sanniti condotti dal Principe Lucio sciamarano sulle nostre regioni quando Rufra faceva parte del Sannio, il mio argomento non va soggetto a difficoltà. Se avvenne quando faceva parte della Campania, ciò neppur mi nuoce; perché queste ondate di popoli migranti, come una valanga, che rotolandoingrossa, avvolgevano quanto lor si presentava nel cammino, e però si cacciarono innanzi i limitrofi Rufrani, che alla nuova patria diedero il nome dell’antica.
Neppur dissimulo, che l’annotator di Virgilio ad uso ed il Cluverio confode Rufra con Ruvo. Ma questo è chiamato Rubi, non Rufra da Orazio serm: L.1. Sat: 5.
Inde Rubos lassi pervenimus utpote longum
Carpentes iter, et factum corruptius imbri
Dopo un lungo cammino, e dalla pioggia
Renduto più malvagio, a Ruvo alfine
Lassi giugniamo.
Ed è non già nel Sannio, o nella Campania, ma nella Puglia Peucezia, secondo Filippo Ferraro, in addit: ad Calepinum, Rubi Rubus quoque, vulgo Ruvo, urbus non Campaniae, ut scribit Calepinus, sed Apuliae Peucetiae: Populi Rubustini Plinio. Né Rufra poi né Ruvo devon confodersi con Rudia patria di Ennio, che secondo Ferraro nel luogo citato è nella Calabria di Sallentini distante due miglia da Lecce, ( Aletium ) Rudiae urbs Calabriae Salentinorum excisa apud Alctium, vulgo Ruje 2. m. p. littus versum.
E così Volle provare in una dissertazione l’abate Domenico De Angelis. Ma secondo il giudizioso Tafuri è in vicinanza di Grottaglie otto miglia al di là di Taranto nel luogo dello Rugge. Perché Tolomeopose Rudia come città primaria de’ Sallentini, e la Sallenzia aveva principio al di là di Taranto. Ivi, dice il Tafuri sono ruderi, ed il nome di una Rugge, che deve perciò riconoscersi come la patria del più antico Epico Latino, il quale è detto Tarentino da Eusebio, non per altro che per la vicinanza di Rudia a Taranto.
Potrebbe dedursi l’etimologia di Rofrano, o Roferano, come è pur detto in antiche scritture, dalle roveri di cui abbonda; quasi Roverano cambiando L’F nella affine V, ma le ragioni fin qui esposte mi sembran sufficienti a conchiudere che da’ Sanniti Rufrani abbia avuto il nome , e l’origine Rofrano Vetere. Questo era sito circa quattro miglia al Nord-Ovest del Nuovo sotto monte Rotondo. Era in piedi, almeno il suo Cenobio, a’ Tempi di Teodosio, ed onorio, e forse anche a tempi di San Benedetto, come può raccogliersi dalla vita di S. Elena. Nunc seges est ubi fuit: vi germoglia il grano, onde nella vita di detta Santa è chiamato Horreum Rofrani. Ne avanza il nome conservato nel linguaggio comune, ed in molti antichi documenti, e sul luogo i ruderi del Cenobio, e della chiesa, sparsi rottami di mattoni, embrici, e creta cotta.
Gli diedero un tal nome per quel naturale pendio, che hanno le nazioni migranti d’imporre a’ novelli luoghi da essi posseduti un qualche nome, che loro rammenti quelli che furono abbandonati, e dove pur tante memorie carissime lasciarono. Così da Ippolce capo degli eritreesi nato in Cuma di Eubea ebbe il nome la nostra Cuma . Così la nostra Trecchiana sopra Maratea ebbe il nome di Trecchina vicina alle Termopile. Così il fiume Galeso presso Taranto fu chiamato Eurota da quello che scorreva presso Sparta. E di tal’ uso abbastanza esempì riccorrono a nostri giorni nell’America.
Egli è naturalmente che Rofrano nuovo sia derivato dall’antico. Esso si formò ad un Cenobio Basiliano sito presso la di Grotta Ferrata, dove ora toreggia il palazzo Baronale.Qui si ridussero gli abitanti di Rofrano Vetere, e vi formarono una mediocre agglomerazione con altri avveniticci di un paese, sito su di una balza tra Rofrano, e Laurito che vien chiamato Fugento in Diploma di Ruggiero ( Antonini, Lucania ). Si serbò memoria del fatto nell’antico suggello di Rofrano, che ha l’effigie della Ssma Vergine con un Basiliano proteso ai suoi piedi, ed all’esergo il nome del Comune. E’ innegabile, che i conventi furon folocajo d’istruzione, di commercio, e di vita industre, ed ospital capanna, dove i nostri padri ricoverarono la testa minacciata dal Barbaro, e dal Barone. Così Nacquero nella Svizzera Sangallo e Dissentis, così Zurigo e Lucerna, così Appenzel Glaris, e Sciaffusa. Così nella Toscana Castellonuovo dell’abate, Gello dell’abate, Vico dell’abate, e tanti altri nomi consimili ricorrenti segnano luoghi nati per opera di monaci. Così molte città nel titolo di un Santo conservano l’impronta di simile origine.
Quindi l’antichità di Rofrano Nuovo si riduce a quella del Basiliano Cenobio. Or in qual’anno questo fù fondato?
Ruggiero II. Primo Re di Sicilia con suo Diploma dato dal Real Palazzo di Palermo concede la badia ed il Feudo di Rofrano ad un Leonzio abate Basiliano, che al tal uopo si era recato un Palermo. ( Documento A ) La data è di Aprile Indizione IX che corrisponde, secondo i Muratori ed altri eruditi, all’anno 1131 e dell’anno del Mondo 6639, che secondo il computo ordinario, cade nell’inteso 1131. Ma con siffato Diploma conferma al detto abate concessioni allo stesso fatte dal suo antecessore Guglielmo e prima da Ruggiero suo cugino. Questo ultimo successe al Ducato di Puglia e Principato di Salerno a’ 27 Luglio 1085 al padre Roberto, che tale l’aveva nominato nell’1081, e dichiarato suo successore a discapito di Boemondo. Dunque il Cenobio di Rofrano esisteva già nella seconda metà del secolo XI. Si vede poi agevolmente, che codesti Normanni non fecero, che legalizzare, e consolidare l’autorità di tali Basiliani Toparchi sul paese nato per opera loro. Ciò risulta dal tenore del Diploma stesso, e ne risulta ancora, che la Baliade Chiesa di Rofrano era fiorente, e con giurisdizione amplissima sopra undici Grancie, e che fiorente era il feudo di Rofrano stesso, di sui descrive gli stessi confini. Or la condizione della Chiesa e del Feudo fanno argomentar la data del paese: si sa, che i fedeli fondano, e dotano le Chiese: il feudo ordinariamente è posteriore al Paese, e nel caso nostro il paese suppone anteriore l’esistenza del Cenobio. Dunque bisogna indietreggiare la fondazione al Cenobio almeno nell’antecedente secolo X. E ce ne porge ragione un altro plausibile documento.
S.Nilo ( Vita S.Nili, interprete Sirleto penes Marten Vet. Script. Coll. I. VI c. 715. Salmon t. XXIII.) nato in Russano nel 906 dalla nobillissima famiglia Malena volgendo le spalle al secolo si ascrisse all’ordine di S. Basilio: fuggì dalla patria perché que’ cittadini spettatori delle sue virtù volevano a viva forza toglierselo a Vescovo. Per non farsi conoscere, pellegrinando entrava nei luoghi abitati con una pelle di volpe avvolta al capo, e la tonaca sospesa al bastone, onde i monelli gli correan dietro gridando: Heus Bulgare Calogere! Fu tra noi in questa contrada, edde stanza in Rocca Gloriosa nel Cenobio dei Benedettini detto di S. Mercurio, e vi fabbricò un Romitaggio, et ibi cellulam in rupe praecelsa delegit. ( Santoro in Hist: Carbon. Monast. F. 29 ) Abitò pure nell’altro Cenobio di Benedettini in San Nazario. Indi fu trionfalmente accolto in Montecasino, dove riformò i monaci di quel celebre Monastero, trattenne 15 anni tra Benedettini di Casalucce. Era in Roma nel 997, quando Gregorio V privò degli occhi del naso , e menò strapazzo per Roma l’Anti-papa Giovanni Filegato già Vescovo di Piacenza , e grande intrigante , poiché allora, come riferisce Cantù, gli adoprò i suoi buoni uffizii a prò di quello sciagurato, benchè invamo, e però predisse l’ira di Dio al Papa, che infatti morì ben presto. Egli fu il fondatore della celebre Badia di Grotta Ferrata in Frescati, presso l’antico Tuscolo, 15 miglia distante da Roma. Chiuse i suoi giorni in paterno di Capagna nel 1002. Di passaggio qui rifletto. Se fiorì nel secolo X., è palpabile l’Anacronimo di coloro che lo confondono coll’altro S. Nilo, che prima prefetto di Costantinopoli, poi Monaco ed Abate fu discepolo di S. Giovanni Crisostomo, e frioì sotto Teodosio il giovane circa l’anno 440 ( Natale Alessandro Stor: Eccl: tom. X. P. 294 ).
Or dalla vita di San Nilo si rileva che fabbricò un Remitorio in Rocca Gloriosa, e fondò la celebre Badia di Grotta Ferrata in Frascati. Inoltre dal diploma di Ruggiero si rileva, come ho accenato, che amplissima era la giurisdizione del Rofranese Abate: si estendeva sopra undici Grancie descritte nel mondo seguente.
- Grancia di S. Maria De Vita nel territorio di Laurino
- Di S. Zaccaria nel territorio di Diano
- Di S. Pietro del Tomusso nel territorio di Montesano
- Di S. Arcangelo nel territroio di Campora
- Di S. Matteo nel territorio di Policastro
- Di S. Pietro nel territorio di Rivello
- Di S. Nicola De Saracusa nel territorio del villaggio chiamato Didascalea
- Di S. Nicola di Benevento nella città di Salerno
- Tutte le case, che sono in Salerno stesso a Portanova. La contrada ritiene ora la stessa denominazione.
- La casa di Salerno alla Giudaica. Era dov’è ora la Parrochhia di Santa Lucia in Giudaica.
- La Grancia di S. Maria de Siripi nel territorio di Sanza.La contrada ritiene l’antico nome
Si rileva in secondo luogo che il Romitorio di Rocca non aveva relazione colla Badia di Rofrano, perché non copreso nella lista delle Dipendenze o pertinenze del medesimo. Lo stesso dicasi alla grande ed antica Badia Basiliana, ch’ era in Pattano, dell’altra antica Badia, ch’era in Camerota , e dell’antichissima, ch’era in San Giovanni a Piro, dov’è sepolto il celebre letterato Teodoro Gaza di Tessalonica, che vi fu Vicario del Commendatario Abate Cardinal Bessarione.
Si rileva in terzo luogo, che le undici Grancie erano annesse a Rofrano, non a Frascati; il Feudo apparteneva al preside della Chiesa di Rofrano, il dritto di Asilo, e gli altri privilegi al Cenobio di Rofrano. Frascati non v’è neppur nominato , perché fuori del Reame e della Giurisdizione di Ruggiero. Forse Leonzio era abate di Rofrano, perché nella serie degli Abati di Frascati non trovasi un omonom sincrono di Ruggiero, come si assicura il celebre D. Giuseppe Cozza Basiliano di Grotta Ferrata editore del Codice Biblico Vaticano. Penso che la Badia di Rofrano prima indipendente poi fu assogettata a quella di Frascati. Costa in fine che le Chiese di Rofrano, ed il suo Abate hanno sempre avuto lo stesso titolo di Grotta Ferrata.
Quindi naturalmente sorgono i seguenti dubbi. S. Nilo fondò egli nostro Cenobio, allorchè fu in queste contrade, o lo trovo già fondato? La Badia di Rofrano ebbe il titolo di Grotta Ferrata da quella di Frascati, o viceversa?
A me pare che lo trovò già fondato: primo perché il greco Biografo di S. Nilo , che narra le altre fondazioni tacce di questa, secondo perché altrimenti la nostra Badia nel breve spazio di una ottantina di anni ( quanti ne corron da S. Nilo al Duca Ruggiero ) non potevan giungere di grandezza, che descrivesi nel Diploma.Quindi parmi ancora, ch’essendo postierore la fondazion e di Frascati potè solo ricevere non già dare il titolo di Grottaferrata. La fondazione Apostolica, o i Martitri rendevano insigne una Chiesa ne’ primitivi tempi; ma nel medioevo , quando la divozione delle reliquie di due martiri, il nome è registrato nel libro della vita. Son quasi intieri: due teschi, ossa bracchiali, curali, costole, capelli, sangue. Riposavano in una Cripta con ferriata innanzi, e sulla Cripta era l’Altare secondo il modello dell’Apocalisse. Da questa Cripta può ripetersi il titolo di Grottaferrata senz’andare a cercarlo nella lontana Frascati. Così dallo Speco di S. Benedetto ebbe il nome la Chiesa del Sacro Speco. Se mi appongo, sia d’altri il giudizio; ma qualunque questo sia, risulta, che se la fondazione fu di S.Nilo, quella di Rofrano nuovo rimonta al X secolo, se fu anteriore, bisogna indietreggiare ancora. A tal fine benchè scarso di libri, e di aiuti in un paesello, mi fo lecito proseguir le indagini in tempi, nei quali si procede a tentoni fra scarsissimi ricordi, per dirla con Dante, in secoli muti di luce.
In Rofrano Vetere esistono i ruderi di un Monastero, che è ricordato ancora nella vita di S. Elena, o Eliena di Laurino. Secondo la leggenda del suo Uffizio visse in una Grotta sopra Rofrano Vetere: il pio Abate di quel Cenobio offriva qualche cibo alla parca mensa dell’austera Anacoreta, che lo retribueva cucendo o rattoppando le tonache de’ Monaci nell’ore che risecava alle sue sante occupazioni. Morì in quella Grotta or convertita in Oratorio sacro al suo nome. Il corpo fu deposto nella Chiesa di Laurino sua patri, e dopo varie vicende traslatato inAuxerre. Ibique tandiu quievit, donec varios post casus Autisiodorum traslatum, uti ex Martirologio R. 11 Kal : Junii : La traslazione delle reliquie secondo Volpi ( Cronologia dei Vescovi Pestani p. 234 ) avvenne circa l’anno 534. Or ostratti gli anni necessari allo sviluppo delle molte vicende accennate nella leggenda, e sotratti gli anni, che la Santa passò presso quel Cenobio, deve conchiudersi, che quel Cenobio di Rofrano Vetere esisteva già prima del 480, in cui nacque S. Benedetto. Dunque il Cenobio non era di Benedettini, la culla de’ quali fu Montecasino fondato nel 529, ma sibbene di Basiliani, che dall’Oriente ben presto diffusero in queste Meridionali province allor soggette al Greco Imperatore.
Anzi il Baronio nelle note al Martirologio R. scrive che S. Elena fiorì a’ tempi di Teodosio il Grande, e di O norio 379 a 423. De eadem Helene Virgine item hac die beda Vsuardus, Ado, et Petrus in Catalogo L. II. Mentio habetur de eadem in rebus gestis S. Amatoris. Vixit temporibus Theodosii Senioris, Honorii ejius filii, ut ex iisdem actis colligitur.
Ho qui contraria la leggenda dell’uffizio, e molti valenti scrittori di Laurino, tra quali Niccolò Politi, che attribuiscono a’ Benedettini asssicura (( che sino a S. Benedetto, nel secolo VI, spesso sad arbitrio del superiore si adottava una nuova regola , e spesso nello stesso Cenobio erano in vigore più Regole, e si aggiungeva, e toglieva ciò che chiedevano le diverse circostanze di tempo, e di luogo. Quindi era facile, e promiscuo il passaggio da un Cenobio all’altro non solo de’ Latini fra loro, ma anche tra Latini, e Greci)). Anzi mi pare che il costume vigeva anche dopo S. Bendetto: altrimenti non può spiegarsi quel che narra lo stesso Mabillon, cioè che verso l’anno 720 in Montecasinoofficium faciebant Graeci, et Latini, cioè Basiliani, e Benedettini. E neppure può spiegarsi di S. Nilo Basiliano tra Benedettini di Roccagloriosa, di S. Nazzario di Montecasino, e di Casaluce. Può dunque dirsi che i Cenobiti di RofranoVetere erano Basiliani in origine, ma all’apparie del celebre S. Benedetto o ne adottarono per qualche tempo la Regola, o l’unirono all’altra di S. Basilio. O se un maggior numero di Basiliani lor si soprappose nel Cenobio. Sappiamo, che nel 980 sessanta Basiliani da Calabria fuggiti colla scimitalla de’ Saraceni alle spalle occuparono il Benedettino Cenobio di Casalucce, e lo resero rifugio a’ Bendettini di più austera disciplina. Sappiamo, che nel 762, dopo i decreti dell’Iconoclasta Conciliabolo di Herea ( Lebean Storica del Basso Impero) i Basiliani ripararono a Roma in si gran numero, che il Papa Paolo fece della sua casa paterna un monastero, ed ordinò che l’officiatura si facesse quivi in Greco. Adunque senza moltiplicar Cenobii, può senza grave ostacolo ammettersi che i medesimi Basiliani di Rofrano Vetere migrarono col popolo nel Nuovo, spinti da motivi, che non si sanno con precisione, ma che spinsero tanti altri abitanti di luoghi piani, come RofranoVetere, a ridursi in Rocce per arte o per natura inaccesibili, qual è Rofrano Nuovo. Nei secoli VII. VIII, XI, in cui cader dovrebbe la migrazione, i paesi della Lucania furono schermo infelice de’ Greci, de’ Longobardi, e de’ Saraceni: presi or dagli uni, or dagli altri, sottrarsi al ferro nemico cercavano asilo, come le aquile sulle creste de’ monti, ed in luoghi inaccesibili . Ma non sappiamo determinar l’anno con precisione: l’orma del sandalo impresse sul nostro suolo da’ Basiliani furon cancellate dal tempo: e si avvera qui pur una volta, che un mistero avvolge le generazione, così tutte le origni.
III
Storia Civile ed Ecclesiastica
Gli Abati Basiliani da’ Normanni investiti del feudo, e della Badia di Rofrano lo goverarono ne temporale e nello spirituale, e preser cura delle dipendenti Grancie pel corso di 400 anni. I loro affari sul principio prosperarono. Perché a’ tempi di Guglielmo il buono l’Abate di Rofrano era padrone ancora di Caselle, vedebdosi dal Registro pubblicato dal P. Borrelli, che per essa e per Rofrano offrì nella seconda spedizione di Terra Santa, cioè nel 1187, dei soldati, e quindici servienti. Ma poi, secondo il corso delle umane vicende, le cose andarono in dechino. La Badia, giusta l’andazzo di que’ calamitosi tempi, fu data in Commedia, tra glia altri al Cardinal Giovanni Colonna. La Commenda produsse i soliti effetti, la rovina de’ commendati.
Sotto gli Abati Commendatarii il Feduo di Rofrano nel 1476 agli 11 Gennaio fu venduto con Pontificio permesso in in Breve de’ 2 Gennaiol ad un Anello, o Antonio Arcamone di Napoli Conte di Fondi. Così narra una Cronachetta, che serve di Preambolo ad un privilegio, con cui la nostra Chiesa fu esentata da tasse, ed imposizioni Curali nel 1538. E’ premessa ancora con la giunta delle posteriori notizie ad una rappresentanza del Clero contro un Decreto di Monsignor Brancacci con cui nel 1652 provvedeva ad un servizio della Badiale Chiesa. Ma l’Arcamone dall’Antonini è invece chiamato conte do Borrello. Potrà così essere intitolato solo per anticipazione; perché in Banca Figliola f. 454 si legge, che Anello Arcamone nel 1466 fu fatto Presidente della Camera, e solo nel 1483 fu fatto Conte di Borrello. Gli vien contrastato anche il titolo di Conte di Fondi, il Duca Melfi, ed il principe di Taranto non presero cogli altri Baroni nel 1485, come assicura il Muratori, contro il Re Ferrante ed intanto l’Arcamone Conte di Borello fu arrestato, e punito cogli altri ribelli . Dal che potrebbe dedurdi, che l’Arcamone non era Conte di Fondi. La difficoltà svanisce, riflettendo, che il Re Ferrante, come riferisce il Sunmonte, fece proditoriamente ai 13 Agosto 1486 prendere l’Arcamone, e molti altri suoi cortigiani, e gli processare non come insorti colgi altri Baroni, ma sotto pretesto, che avessero avuto intelligenza co’ Baroni ribelli. Ad alcuni fu mozzato il capo, come l’Arcamone, a tutti fu tolta roba e feudi di sonno valore.
Neppure è vera la notizia dataci dall’Antonini, che l’Arcamone comprò non per conto proprio, ma per suo cognato Petrucci conte di Policastro, il quale Petrucci ne fece prender possesso di un commissario del Re Ferrante. In un’istrumento del 1447 per Notar Masello De Leo, di cui ho copia legale, Tommaso Allegro di Alessio di Rofranocompra un’orto nel luogo detto S. Brancato, o Capizzi, che tuttor si possiede come Burgesantico da’ nostri Baroni, ages nomine, et pro parte, dicti excellentissimi Domini, haeredum, et succesorum. In un altro istrumento per los tesso Notaro de’ 27 Ottobre 1477 si riferisc, che l’Arcamone teneva qui un tale anno Capitanio un suo pia in un processo dell’Università di Rofrano per la buonatenenza contro il Conte di Policastro, ed un’altra nel processo Pro Julia Ruffo ( moglie di Federico Caraffa ) et aliis creditoribus contra Federicum Carafa comitem Policastri. Banca Figliola f. 454. Nel 1497 v’era qui per parte dello stesso Arcmone Rinaldo Longo in qualità di Governatore, come dimostrò qui appresso. Adunque il titolo per cui il Feudo di Rofrano pervenne a Carafa non fu la prestesa compra per procuratorem.
Il Feudo ricaduto alla corte per fellonia dell’Arcamone fu concesso dal Re Ferrante a Giovanni Carafa Conte di Policastro a’ 13 Marzo 1490 con Alberano registrato Q. 55 f. 221. Q. 58 f. 62-172 Q. 77 f. 270 Ferrante II. a 4 Febbraio 1496 confirmò la concessione ed aggiunse altre spoglie de’ ribelli, come il Feudo di Alfano e di Sanza. La confirmò pure il Re Federico a’ 5 Ottobre 1496 con Privilegio, che si trova presso S.R.C. nell’atto intitolato Processus Originalis Universitatis et hominum Rofrani cum spectabili Comite Policastri utili Dominio ipsius Terrae Banca Longo, poi detta di Palermo, Scrivano Califano p.30.
Ma in quei torbidi tempi il possesso del Feudo il possesso del Feudo non fu tranquillo. Ho già avvennata la congiura de’ Baroni contro Ferrante, e la barbara vendetta, che questi prese nel 1486 de’ suoi cortigiani: Peggiò trattò nell’87 i congiurati dopo che aveva loro accordato piena perdonanza. Si potrà leggere presso gli storici come il Re ed i Baroni gareggiarono di mala fede, in un secolo di famose perfidie, come la Mandella Gaetana moglie del tradito Girolamo Principe di Bisignano salvò i figli Bernardino primogenito, Giacopo, ed Onorato, trafugandoli in Roma: Antonello San Severino Pincipe di Salerno travestito da mulattiere fuoriuscì, lasciando sulla porta del suo palazzo in Napoli la scritta : Passaro vecchio non entra in gabbia: insieme col detto Bernardino Principe di Bisignanonel corso di 10 anni si adoprò per infiammiare Carlo VIII Re di Francia, ed i grandi di quel Reame alla conquista del nostro Regno, ed alla rovina degli Aragonesi: di ritorno in Italia si trovò in tutte le fazioni dell’esercito francese e fu ripristinato né suoi stati: il Re Carlo, al cui cospetto eran fuggiti in Sicilia Alfonso di Aragona, e Ferdinando suo figlio, partì dal Regno
Qual nembo; e turbo di volanti arenne
Corse, e vinse l’Italia, e’l volo ardente
Fermò del regno alle contrade amene:
Laddove l’ire intepidite, e spente,
Si volse, e per la via gloria impressa
Fuggio, temendo la vittoria istessa
L’esercito qui da lui rimasto fu pienamente sconfitto sotto Atella della Lucania per valore del Gran Capitano Consalvo, dopo la disfatta il Principe Bisignano con altri Baroni tornò all’obbienza di Ferdinando II: morto questo il succedutogli Zio Federico assicurò i Baroni con generale indulto, e col motto impresso in una famosa medaglia: Recedant vetera, nova sint omnia: il Principe di Bisignano non solo perseverò nella divozione al nuovo Re, ma per secodarne gli ardenti desideri, si adoprò per farvi tornare ancora il Principe di Salerno ostinato a non fidarsi degli Aragonesi: non vi riuscì , perché uscendo eglino una sera Castellonuovo di Napoli, ove il Re dimostrava, un perfido Greco avventossi con un ferrò sulla persona del Principe Bernardino, nella medesima anticamera Reale incontanente fu preso, ed imprigionato, confessando di aver ciò eseguito non per ordine del Re, come già si bucinava, ma per privata ingiuria ricevuta dal suo padrone: di ciò restò persuaso Bernardino, ma crebbero sospetti nell’animo di Antonello: quindi non pensò che armarsi, ed andò a fortificarsi nella Rocca di Diano, che reputavasi inespugnabile: dopo varii avvenimenti di fortuna venne ad onorata capitolazione, con patto di uscir dal Rengo, e ritirossi in Sinigaglia.
Ora un episodio di lunga tragedia trovo in un processo intitolato: Lauare Monteporte cun Matthaeo Pacone in Banca Figliola. Vi figuran testimonii i Rofranesi Notar Giovanni D’Alessio, D. Bartolomeo De Leo. Dalle loro deposizioni a pag. 578, 579, 580, 582, e 583 si attingono queste notizie…. Nel mese di Luglio 1497, quando si aspettava Re Federico all’assedio di Diano, dov’era il Principe di Salerno Antonello confederato con Guglielmo Conte di Capaccio, questi, il Conte, dimorava in Rofrano da padrone, vi si divertiva alla caccia, vi teneva Giulio Di Lucca da Sanza per Governatore ed Officiale: il Di Lucca aveva fatto carcerare Rinaldo Longo Governatore per parte di Antonio Arcamone: aveva seco cento fanti, il soldo e foraggio a carico di Rofrano, ben s’intende, col braccio de’ quali pose a sacco, e fuoco la casa di Notar Guglielmo D’Alessio , come parteggiante degli Aragonesi. Rofrano, preda del più forte, al vedere sullo sdrucciolo i San Severino , ed udir le minacce che il Conte di Policastro lo darebbe in balia dell’esercito Regio, decise di rendersi al Carafa, ed il Sindaco cogli Eletti andarono a prestargli ubbidienza. Partito da Diano il campo, il Conte venne tra Vassalli e li compose, cioè, multò in ducati 400, di cui imborsò la maggior parte, condonò il resto. Quante sofferenza del popolo mentre i tre si disputavano il Feudo! Guglielmo San Severino Conte di Capaccio, insorto sotto bandiera del Papa supremo Signore del Regno non riconesceva le concessioni Aragonesi. Carafa conte di Policastro riponeva in queste il suo dritto. Arcamone prima cortigiano degli Aragonesi, e poi sospettò di complicità co’ loro nemici, riceveva colpi dall’uno e dall’altro.
I Basiliani, alienato il Feudo, eran rimasti nel Convento pel governo spirituale del luogo. Ma il Carafa prese a malmenarli per tutte le vie, e gli obbligò finalmente a sloggiare.
Per accenar qui le altre loro vicende. Fissaron la sede nella vicina Grancia di Montesano, donde vegliavan sulle rimanenti Grancie, e dove l’Abate D. Nilo Morangi compilò nel 1710 Legale Platea de’ loro beni, alla quale va premesso il Privilegio di Ruggiero tradotto dal Greco in forma probante: la confezione della stessa fu accordata dal Vicerè Card. Grimani a’ 17 Agosto 1709, e munita di exequatur, et pubblicetur a’ 6 Giugno 1710. Ma non molto dopo la data della Platea la Badia trovasi passata in potere de’ Certosini di Padula. Quel Priore dipinse alle Autorità come deserto il Cenobio de’ Basiliani, ch’era nel perimetro del suo Feudo di Montesano, e n’ebbe sia per compra, sia per donazione le pingui rendite, ed il titolo di S. Pietro di Montesano allungò la filatessa altri titoli suoi. Ecco come racconta il fatto Costantino Galla ( Memoric P.I.c.x.) che stampava le sue memorie nel 1732, cioè 22 anni dopo la compilazione della Platea.
((Montesano gloriavasi di aver pure nel suo tnimento un opulente Grancia di PP. Basiliani sottto il dominio del loro Monistero di Grotta Ferrata, ch’era situata in luogo amenoe delizioso, inaffiato da perenni rivoli di cristalline acque; ma non è guari, è stata essa venduta da qui PP. al Monistero di S. Lorenzo, che quivi con tal compra ha fondato un’altra propia Grancia. Ed allora, che il priore Certosino prese il possesso, che il menzionato fè di tal luogo, l’Abate Basiliano, ch’era in custodia del medesimo, e che di ciò nulla sapeva ( destrezza di un Priore ! ) spavenatato di una tanta novità esprimendo queste singole parole. Siamo dunque noi altri ridotti a partirci colle bisacce in collo!!! Senza più cadde tramortito, e trminò tra le poche ore di vita)). Così l’infelice vecchio eli all’annunzio dell’Arca Santa perduta, colto come da fulmine svenne, rovesciò dalla sedia, morì. Or tu, Priore! In si luttuoso spettacolo vedi il primo effetto de’ tuoi tranelli, e godi delle fraterne spoglie, finchè ti è dato. Ma i Francesidestinati da Dio a renderli la pariglia non so lontani.
Espulsi i Monaci, il Caraffa rideusse il Convento in propia abitazione, ch’è l’attual Palazzo Baronale, dove tuttor si veggon mattoni colle iniziali C.P. Conte Policastro, convertì in uso proprio beni della Chiesa compresi nel Feudo, e , quel ch’è peggio, usurpò anche la spirituale Giurisdizione, quando anche Archidiocesi importantissime, come Milano, si lasciavano in Commenda a Principi secolari: si vegga Van Espen art. Congrua, e Commende. Delegava un ‘Ecclesiastico col titolo di suo Vicario Generale sopra proposta del Clero ad esercitare la spirituale Giurisdizione. Uno di questo du D. Ruggiero di Napoli, un altro l’Arciprete D. Pompeo D’Alessio. Essendo. Essendo Badiale Chiesa rimasta sfornita di Ministri, e di rendite angariava ad uffiziarvi il Clero delle Chiese Curate. Giacchè fin da quel tempo due ne aveva Rofrano, una sotto il titolo di San Nicola di Mira, e l’altra di San Giovanni Battsista. Eran Ricettizie Familiari, cioè divise son per territorio, ma per famiglie. Ciascuna fin da quell’epoca aveva duc.150 forse equivalenti a 450 de’ nostri. I Preti vi si ordinavano a titolo della Chiesa, ad espio duc. 25 la tassa del Patrimonio, ciscuna poteva avere sei partecipanti incardinati. L’Abate, o per esso il Vicario ogni mese sopra proposto del Clero Ricettivo vi destinava un Prete ad esercitar la cura. Questo costume di Curati amovibili eran generale nelle nostre Ricettizie, come si rileva da un rapporto di Silvio GalassoVicario Apostolico di Capaccio diretto a Roma, e dalla risposta della Sacra Congregazione riportata nella Collezione de’ Dispacci ( P. 1. Tom. 1. Tit. 27, n.1 )
Quale sia stato il governo del Carafa può dedursi dal già detto, ma con chiarezza rilevasi dalla lunghissima serie di gravami, che, come dal processo che ho citato, l’Università produsse nel S.R.C. contro Federico Carafa. Pur debbo confessare che Rofrano, mal soffrì sempre anche il moderato gioco de’ Baroni Laici, rimpianse il governo de’ Basiliani, forse non a torto. Le Giurisdizioni signorili riuscirono meno vessatorie in meno di Abati e Vescovi, che di conti e Baroni: il Prete era obbligato ad alcune virtù, da cui il Laico si teneva dispensato. Chiudo le notizie di Carafa con una leggenda che non è fuor di tempo, ne potrei tacere senza visitare la storia. Un servo del Carafa vivente ancora a’ tempi del mio Cronista, ma curvo sotto il peso degli anni ebbe la franchezza di presagire al Padrone l’esito delle due prepotenze: gli narrò la favoletta dell’acquila: (( La quale ghemì all’altare di Giove le arrostite carni, le portò agli aquilotti nel nido, e riprese il volo per cercar qualche altra preda. Ma un carbone ardente ch’era rimasto attaccato alla carne, appiccò il fuoco al nido, e l’incendiò con qli aquilotti non ancora idonei al volo. )) Senza esser profeta potè indovinare, che i beni Ecclesiastici vanno in crusca, e gli usurpatori finiscono per restar più poveri. Non andò guari, ed i Carafa furono costretti a vendere il Feudo di Rofrano, e quasi tutto lo stato, che oltre Policastro ed i suoi casalli allor comprendeva altri nove feudi. La Giulia Ruffo moglie di Federico si unì coi creditori per salva la dote, come al processo che ho citato. Si ha documento autentico, che a’ 26 Settembre 1562 Federico Carafa vendè Rofrano a Scipione Scondito per ducati 10,500 con R. assenso per verbum fiat, ma col patto de retrovendendo. Ciò vuol dire, che non fu vera vendita, ma censo per danaro ad interessi con cautela del Creditore sul Feudo.
Questo fu veramente esposto venale dal S.R.C. nel 1576.
Si licitò senza apprezzo: nell’asta pubblica restò a Lucrezia Comonte Contessa di Barletta, per Ducati 11,630 , e con R. assenso preverbum fiat ne fu stipulato istrumento per Notar Donato Antonio Guariglia. Ma per nuove offerte presentate da Giov: Battista Minutolo il S.R.C. ordinò nuova subasta, ed infine dopo varie vicende liberò il feudo alla detta Camonte per ducati 13,400 , ed a’ 4 Giugno 1576 se ne rinnovò l’istrumento con nuovo R. assenso allo stesso Notar Guariglia. La compra, e l’assenso furon registrati Q. 92 f. 126.
La Camonte ch’era una virtuosa signora, per la lite dei gravami pendente in S.R.C. venne a convenzione coll’Università. Il Capitolato che costituì la legge municipale, si stipolò a 5 Dicembre 1576 per Notar Aurelio Panzuto li Laurito. Ho letto oltre questa legge diversi parlamenti di quell’epoca, in cui votavano i capicasa sugli affari dell’Università a proposta del Sindaco, e di due eletti, e coll’intevento del Luogotenente del Governo, e per quanto permettono i tempi, ne ho ammirata la pratica prudenza. Ogni quattro anni si destinavano i luoghi pe lo pascolo, e per la semina con molta precisione , ed in modo, che l’agricoltura non riusciva a discapito della Pastorizia o viceversa: la terra non era svigorita da lunga coltivazione, ed i numerosi armenti davano abbastanza d’ingrassi. I fondi vicini al paese erano appadronati: appadronati quelli alle falde dei monti, ma soggetti all’uso civico di pascolo per beneficio del moltissimo bestiame, che nutriva su’ monti. Il pascolo, e la raccolta de’frutti ne’demanii dell’Università erano comuni in guisa che ciascuno poteva mandarvi il bestiame, o raccoglierli. Bisogno di danaro specialmente per liti co’Baroni, o per opere pubbliche, come pel ponte sul Faraone, e per mulino dell’Università, consigliò, agli amministratori il ripiego di vietar quell’uso in alcuni Demanii, per vendere l’erba, ed i frutti: e così di mano in mano si costituirono le Difese Comunali. Con tal regime l’Università aveva la rendita di ducati 1300, ed i privati eran ricchi di animali, e di danaro come osserva il Tavolario Nicola Majone. La legge de’Francesi, savia e giusta in se stessa, applicata a noi non produsse benefici effetti. Disodati i monti si resero calvi, ed inetti al pascolo, ed i torrenti rovinaro i sottoposti campi a danno della Pastorizia, e dell’Agricoltura. E’ sempre vero, che gli inidvidui conoscono, e fanno meglio i propii interessi, che le filosofiche terorie di lontano governo: per assicurar la pubblica felicità non occorre l’intervento della legge dapertutto, ma basta l’accorgimento del privato interesse.
Or tornando alla buona Camonte, Ella sul principio seguendo l’orme del Carafa elesse o confirmò piuttosto a suo Vicario nello Spirituale l’Arciprete D.Pompeo D’Alessio. Costui funzionava in Rofrano, qual Abate Nullius, come apparisce da una sua Discessiorale che ho sott’occhio rilasciata a’ 13 Marzo 1575 al Sacerdote D. Leone Di Morra andato in Roma per guadagnare le indulgenze dell’Anno Santo. Vi si firma Arciprete, e Vicario Generale, ed ha Cancelliere Notar Gio: Salvio Ronsino. Ma nel 1583 la Contessa rinunziò alla Giurisdizione Spirituale su Rofrano.
A tempi della Comonte la Sede di Capaccio era occupata da Monsignor Lorenzo Belo. Questo al primo arrivo in Diocesi ammalossi in modo che per consiglio de’ medici si trasferì a mutar’aria in Salerno, dove restò poi per tutta la vita. Governava i sua vece la Diocesi il suo fratello Lelio in qualità di Vicario Generale, e l’altro fratello Pompeo Vescovo di Bisignano vi teneva le Ordinazioni. Lelio abusò dell’uffizio con si poca delicatezza, che pervenuta a Roma la notizia della divolgata venale ingordigia sua, il Papa destinò in suo luogo varii Vicarii Apostoli, cioè, Orazio Fusco nel 1580. Silvio Galasso nel 1582, a’quali seguirono Girolamo Moricone, Riccardo Riciotto, e Gaspare Nuziarello ( Volpi Cronologia, de’ Vescovi Pestani pag:120).
Silvio Galasso persuase la buona Comonte a rinunziare alla sua Santa sede la sua assurda spirituale Giurisdizione, indusse il nostro vicario D’Alessio ad un viaggio a Roma, sottomettere al giudizio della stessa il caso di sua missione; e progettò l’unionedella Badia nullius alla Diocesi di Capaccio: Il Clero assentì, ma perchè memore de’ soprusi Leliani chiese cautele ed esenzioni, e l’ottenne in parte. Gregorio XIII con Breve del 1583 diede il governo spirituale di Rofrano al vescovo di Capaccio, e fece immune il Clero da ogni tassa, imposizione, o sussidio, che imponer volessero i futuri Vescovi. Degli atti emanati nel rincontro fu erogato istrumento ( V. Documento B ).
L’antonini vorrebbe dare il merito di quest’opera a Farao successore di Comonte. Egli non ebbe sott’occhio i documenti .Il Decreto di Silvio Galasso ha la data de’ 16 giugno 1583.
La compra di Farao avvenne cinque mesi dopo. Lucrezia Camonte, ed il suo figlio Ottavio Cognetti a 26 Novembre 1583 con istrumento per notar GiovanPietro Origlia, e con R.assenso registrato Q. 77 f. 2. venderono a GiovanBattista Farao il feudo di Rofrano. Stimo l’Antonini, da cui molto appresi : solo l’amor del vero mi fa notare alcune inesattezze.
La divota Comonte banchettava splendidamente il Clero uffiziante nelle feste della Badiale Chiesa, ed in fin del suo governo, facendosi scrupolo de’ mal percepiti frutti, ne compesava la Chiesa corredandola di sacri arredi.Non pare però, che abbia restituito i beni alla Chiesa usurpati dal Carafa; ma vi è ragione di credere che gli trasmise a Farao.
Infatti alla prima comparsa, che fece Giovan Battista Farao nella chiesa, l’Arciprete D’Alessio colse il destro di ricordare, che il culto e la manutenzione della stessa era a carico del Barone. Come questo peso senza la trasmissione de’ beni e dei frutti? La recisa negativa del Barone fu eseguita da lui, e dal figlio e successore D. Ettore, arnese peggior del Padre secondo il mio Cronista, al quale D.Ettore successe D. MIchele nel feudo fu esposto venale dal S.R.C. e ne fu ordinato l’apprezzo, che a’ 10 giugno 1632 si fece in ducati 24,000 dal Tavolario Niccolò Maione. Nel 1650 fu liberato Girolamo Capece per ducati 16,000, avendo consentito i creditori alla diminuzione del prezzo. A Girolamo successe D. Pietro col titolo di Marchese. Onde l’abate Troili nella descrizione della Provincia di Salerno segna – Rofrano Marchesato di casa S.R.C. fu ordinata nuova vendita in damnum emptoris dietro nuovo apprezzo eseguito nel 1678 dal Favolario Gennaro Pinto con intervento del Consilgiere D.Pietro Cortes Commisario della causa, e degli avvocati e procuratori de’ creditori. Nel 1682 il…..
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